“Il mio anno di riposo e oblio” di Ottessa Moshfegh

Sono una di quelle persone che all’oroscopo può anche non credere – tranne a quello di Paolo Fox, ovviamente. Perché l’oroscopo di Paolo Fox non dico che è la Bibbia ma ci si avvicina.

Tuttavia credo davvero che la disposizione dei pianeti nel momento in cui veniamo al mondo possano in qualche modo influenzare il nostro essere, le nostre inclinazioni, il nostro approccio con gli altri e in generale con la vita. Tutto questo per dire che sono del segno dei Pesci e, da brava esponente del segno, combatto ogni giorno con una forma di pigrizia latente che a volte mi frena sulle cose che vorrei fare. Nella quotidianità si traduce nella difficoltà ad alzarmi dal letto la mattina, nel procrastinare l’alzarmi dal divano per prepararmi a uscire, insomma nell’indugiare su una qualsiasi piattaforma morbida su cui posso sdraiarmi a leggere, guardare la tv, pensare guardando il soffitto.

IL LIBRO

Questa premessa serve a introdurre un libro che ho letto di recente: “Il mio anno di riposo e oblio” di Ottessa Moshfegh (ed. Universale Economica Feltrinelli). Sarò onesta: è il classico libro che ho preso come parte della solita combo Feltrinelli “2 libri a € 9,99”. Forse non l’avrei proprio calcolato se non fossi stata spinta alla ricerca dal prezzo allettante. Devo tuttavia dire che il titolo ha catturato la mia attenzione fin da subito, proprio in virtù di quanto scritto sopra. Trascorrere un anno di riposo e oblio è il mio inconfidabile sogno segreto quindi l’acquisto era dovuto.

L’essenza del libro è nel titolo e la trama è facilmente riassumibile così: bella, istruita, ricca giovane donna in preda a depressione decide di isolarsi dal mondo e di trascorrere un anno non solo a riposo ma anche in oblio, perennemente stordita da farmaci che le inducono un sonno/veglia talmente profondo da renderla incosciente rispetto a ciò che le accade intorno.

Mentre guardavo film sgranocchiando salatini a forma di animali prendevo un po’ di Trazodone, Ambien e Nembutal fino a riaddormentarmi. Quando mi veniva in mente di mangiare, ordinavo qualcosa al ristorante Thai di fronte, o un’insalata di tonno dal diner sulla First Avenue. Spesso al risveglio trovavo sul cellulare messaggi vocali di parrucchieri o estetisti che chiedevano conferma di appuntamenti che avevo preso mentre dormivo. Richiamavo sempre per cancellarli, anche se detestavo farlo perché detestavo parlare con la gente.

p. 11

La depressione e la conseguente decisione estrema della ragazza derivano dalla sua solitudine in mezzo al mondo. Ha perso prematuramente i genitori, che tra l’altro l’hanno sempre trascurata, e il ragazzo di cui è innamorata la tratta come una pezza da piedi, nel peggiore dei modi. Ha solo un’amica del cuore di cui però non le importa veramente. Perché se la protagonista soffre troppo la solitudine interiore, la sua amica Reva soffre per l’aspettativa sociale, per il mondo che vuole le donne sempre belle, perfette, in carriera, mondane. Reva vive questa aspettativa come una corsa contro il mondo, consapevole di non raggiungere mai il livello di perfezione della sua amica, così bella, istruita, ricca, che nonostante tutto è infelice al punto di scegliere l’isolamento.

Il libro non è altro che l’escalation della ricerca dell’oblio più lungo da parte della protagonista, che è alla costante ricerca della combinazione di farmaci perfetta in grado di stordirla nel miglior modo possibile.

Leggendo questo libro non ho potuto non pensare alla mia pigrizia latente che impallidisce davanti a cotanto oblio e stordimento. Uno stordimento così lungo e profondo presuppone l’annullamento del tempo che è il senso stesso della vita. Ridursi a voler dormire il più a lungo possibile significa morire ma non del tutto. Forse nel desiderio di dormire della protagonista c’è ancora una parvenza di attaccamento alla vita, perché altrimenti avrebbe scelto la via più semplice del suicidio. Invece ha scelto di dormire, consapevole che ci sarà il momento del risveglio.

Insomma, anche i ricchi piangono

Una parte importante che connota il personaggio è la sua ricchezza. Il non doversi preoccupare per le bollette, l’affitto, le tasse, nonché il potersi concedere il lusso di lasciare il lavoro da un giorno all’altro si traduce in zero preoccupazioni e, di conseguenza, in passività. Tutti pensiamo che se sei ricco ti puoi davvero godere la vita. Ma se non hai mai conosciuto la vita nelle sue gioie e sofferenze, come puoi capire come godertela? Come puoi desiderare di vivere su uno yacht se non sei mai stato su una barca? Come puoi goderti la vita se non hai mai avuto problemi né pensieri per il tuo futuro?

L’essere nata in una famiglia apatica e sterile ha portato la protagonista a crescere e a diventare altrettanto apatica e sterile, fredda davanti a qualsiasi dolore o piacere perché non li ha mai provati, né l’uno né l’altro.

L’OBLIO, OVVERO TANTO NICHILISMO

Un libro nichilista. L’apatia della protagonista porta all’annullamento della realtà. Non ci sono gli altri, non c’è il mondo, non c’è dio. Ci sei solo tu con il tuo corpo e il tuo cervello che vuoi spegnere, come se fosse un dispositivo elettronico, nella speranza di trovare qualcosa al tuo risveglio. Ma cosa, se non hai mai conosciuto davvero la vita?

Il finale (che non spoilero!) rivela che se non hai mai conosciuto davvero la vita nelle sue gioie e sofferenze quello che resta e che la protagonista trova al suo risveglio è qualcosa di finto, un mondo apparente e costruito ad hoc, pezzo per pezzo, esibito per il godimento del mondo. Quello vero. Quello che è in grado di svegliarti all’improvviso con le sue tragedie.

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