“Il fauno di marmo”, Nathaniel Hawthorne

“La lettera scarlatta” di Nathaniel Hawthorne è un classico che ho molto apprezzato (ho apprezzato meno il film con Demi Moore, per il quale sono certa che Hawthorne si sia rigirato nella tomba).

Quindi, quando in libreria ho acquistato “Il fauno di marmo” (The Marble Faun: Or, The Romance of Monte Beni, 1860), ero bendisposta nei suoi confronti, sia per l’autore che per la trama.

Il titolo nasce dalla somiglianza di Donatello, il protagonista, con il “Fauno a riposo”, celebre statua dello scultore Prassitele, conservata ai Musei Vaticani.

il fauno di marmo 1

Donatello. Un nome che risuona antico e aristocratico. Donatello è il protagonista della vicenda, un ragazzo originario della provincia toscana, naif e spensierato, che vive a Roma. Parliamo della Roma ottocentesca, quella ben conosciuta da Hawthorne, il quale ci visse per alcuni anni (mica male per uno che ha iniziato come funzionario di dogana, no?). A Roma Donatello ha un circolo di amici, uno scultore e due pittrici, tra cui la ricca Miriam, bella e dal passato oscuro. Donatello è follemente innamorato di Miriam, la quale però resta indifferente all’amore del giovane. Fino a quando un omicidio non li unirà indissolubilmente per la vita.

La trama indubbiamente attira. C’è la Roma dell’Ottocento che fa da cornice a una storia noir, in bilico tra l’amore e il mistero. E’ lo stile di narrazione a rendere ostica la lettura di questo libero, di certo un’opera non ai livelli de “La lettera scarlatta”.

Tuttavia, nel complesso il libro si rivela un affresco interessante del rapporto tra uomo e male, della nascita del senso di colpa nella coscienza e, soprattutto, della capacità dell’uomo di far fronte comune nello straordinario caso di omicidio: per la serie, “mal comune, mezzo gaudio”.

Il loro gesto […] come un serpente, così la donna aveva detto, si era avvilluppato in anelli inestricabili alle loro anime, e le aveva fatte diventare una sola col suo terribile potere contrattile. Era più stretto di un legame matrimoniale.

p. 180

Altro punto interessante del libro: Hawthorne conosceva Roma e, già all’epoca, era riuscito a cogliere il paradosso, ancora esistente, di questa grande, problematica città: essere stata caput Mundi, ancora oggi maestosa e in grado di togliere il fiato a chi passeggia per le sue antiche strade, ma anche rovinata, abbandonata a sé stessa, trascurata:

Trenta piedi di terreno hanno coperto la Roma dell’antichità, cosicché essa giace come il corpo morto di un gigante, in decomposizione da secoli, che nessun sopravvissuto sufficientemente forte ha mai cercato di seppellire, così che la polvere di tutti quegli anni si è lentamente accumulata sulla salma distesa, facendole accidentalmente da seplocro. […] Eppure, com’è possibile pronunciare una parola poco gentile o irriverente nei confronti di Roma, la Città di tutti i tempi e di tutto il mondo?

pp. 119-120

Il lato “divertente” del libro è proprio il giudizio di Hawthorne sulla città, che spesso si contraddice, da cui si evince il suo amore per un città così importante e così abbandonata. Degna di nota la sua conoscenza dettagliata dei vicoli più nascosti e delle vie più segrete della città: sarebbero da estrapolare dal romanzo e da utilizzare per redigere una “Guida alla Roma di Nathaniel Hawthorne”, perché sono certa andrebbe a ruba.

IL FAUNO DI MARMO, Nathaniel Hawthorne

Edizioni BIG, Biblioteca Ideale Giunti, 2008

Introduzione di Agostino Lombardo

Traduzione e note di Fiorenzo Fantaccini

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